Vincenzo CARUSO, Il capitano Ercolessi. La spia dei francesi. L’avvincente storia di spionaggio militare che sconvolse l’Italia nel primo Novecento, Messina, Giambra editori, 2017, pp. 252, € 15
Questo volume è costituito dal lavoro di ricerca minuziosa che l’autore ha effettuato su un caso interessante ma poco noto di spionaggio militare nell’Italia giolittiana. Il “caso Ercolessi” quasi ricalcando l’”affaire Dreyfus” verificatosi in Francia qualche anno prima, racconta, attraverso le fonti, di un caso di spionaggio scoppiato in Italia nel 1904 che destò sgomento, incredulità, sdegno e disprezzo nell’opinione pubblica: il tradimento del capitano dell’Esercito Gerardo Ercolessi, impiegato al Distretto Militare di Messina che, supportato dalla moglie, trafugò e vendette alla Francia importanti e riservati documenti relativi alla difesa dello Stretto e alla mobilitazione generale in caso di guerra. Il clamoroso arresto per alto tradimento rimbalzò sulle pagine di cronaca divenendo presto un caso nazionale. Ben diversa fu la procedura processuale del caso, unico nel suo genere nella storia del giovane Stato italiano che, nel 1905, non fu dibattuto in un tribunale militare, bensì in uno civile.
Militare o civile, lo spionaggio e il controspionaggio hanno rivestito e continuano a rivestire un ruolo strategico nella raccolta di informazioni su armamenti, strutture difensive, segreti industriali e attività del potenziale nemico. L’attività di intelligence si è sempre servita di personaggi oscuri. A cavallo tra Ottocento e Novecento, in un clima intriso di crescenti tensioni, lo spionaggio militare ricevette un notevole impulso orientato a carpire strategie, soluzioni difensive e piani di mobilitazione degli altri paesi. L’Italia, avendo appena iniziato a muovere i primi passi in politica estera, aveva intrapreso un esteso programma di difesa dei propri confini e delle coste, investendo ingenti capitali in armamenti e nella costruzione di imponenti fortificazioni costiere e di montagna. L’estrema difesa a sud dello Stato italiano, insisteva sullo Stretto di Messina, punto nevralgico delle rotte del Mediterraneo. Essa consisteva in ben ventidue batterie antinave puntate sullo stretto, più un gran numero di fortificazioni e un imponente sistema di comunicazione stradale, telegrafica e telefonica.
L’autorità militare italiana grazie a un informatore era stata messa al corrente fin dal marzo 1902 della sottrazione di documenti militari consegnati a un italiano residente in Francia. Questi “reclutò” Ercolessi, capitano del regio esercito fresco di promozione e di trasferimento a Messina. Per ben due anni il controspionaggio italiano venne a conoscenza del passaggio di documenti riservati oltre la frontiera francese. Il 5 luglio 1904 il capitano Ercolessi e la moglie vennero arrestati dal tenente dei Carabinieri Giulio Blais, che da mesi guidava le indagini.
Il processo per alto tradimento tenne banco per un anno intero, sia per la rilevanza stessa sia a causa del sensazionalismo mediatico creato dalle testate giornalistiche nazionali. In questo volume Vincenzo Caruso descrive minuziosamente le cronache giudiziarie dei numerosi quotidiani dell’epoca, fonti essenziali per la ricostruzione storica, essendo andato disperso il fascicolo processuale.
L’istruttoria a carico degli Ercolessi si concluse con il rinvio a giudizio innanzi alla Corte d’Assise di Messina, competente a giudicare per le gravi ipotesi di reato contestate, in un processo che si sviluppò in venti udienze. Ascoltati i testimoni e presentate le richieste di condanna dell’accusa, gli avvocati della difesa ingaggiarono una spettacolare battaglia verbale, quasi da palcoscenico. Dall’undicesima udienza, dopo la requisitoria del P.M. nella quale vennero riassunti i capi di accusa, il processo assunse una piega ben diversa da quella di partenza. Dalla piena condanna e dalla severa pena invocata nei primi giorni per il traditore della Patria, il processo tese nel corso delle udienze a far assumere ai due coniugi il ruolo di vittime sacrificali, caduti ingenuamente nella trappola di un complotto ordito dal Tenente Blais, giovane ufficiale del controspionaggio che, divenendo agli occhi della difesa un istigatore al reato, era motivato, secondo la tesi dei difensori, da un personale tornaconto indirizzato all’avanzamento di carriera. Fatto sta che i quesiti formulati condussero la giuria a dichiarare colpevole Gerardo Ercolessi non per alto tradimento, ma per la “sottrazione di documenti poco rilevanti per la difesa dello stato”.
Facendo leva sulla pietà popolare per i figli degli Ercolessi, sul dubbio acritico verso l’operato degli investigatori, gli avvocati della difesa ottennero, contro l’evidenza delle prove, la piena assoluzione della moglie e una condanna più mite del previsto per Gerardo Ercolessi.
Concluso il processo, il Capitano Ercolessi sarà degradato con disonore ed espulso dall’esercito, insieme alla reclusione per cinque anni e dieci mesi. Una pena così mite fu davvero dovuta al buonismo dei giurati e della volontà popolare? Perché malgrado prove inconfutabili, anni di pedinamenti e indagini incrociate, il caso Ercolessi si risolse con una sentenza del genere? Secondo l’autore del volume, espliciti dubbi, espressi nei mesi successivi alla sentenza dal Corriere della Sera, renderebbero plausibile, l’ipotesi dell’influenza dell’allora Governo, preoccupato di mostrare il fianco a tali accuse dopo anni di proclami, di tassazione e di ingenti spese belliche a scopo difensivo.
Alessio Pizziconi